Teatro

Barbara Fiorio: volevo solo essere capobanda (e non mi sono arresa!)

Barbara Fiorio
Barbara Fiorio © Teatro.it

L'autrice genovese porta al Comicity Festival di Genova un laboratorio sulla scrittura ironica. Per imparare a guardarsi dentro con una risata, ma non solo.

Cinque giorni di comicità in tutte le sue sfumature, dal cabaret alla stand up comedy, senza dimenticare la satira e la cara vecchia ironia. Genova ha ospitato nei giorni scorsi Comicity Festival, un festival giovane, indipendente, tutto nuovo, nei volti e nella formula, interamente organizzato dall'Associazione Interno 19.

Al giro di boa del secondo giorno, Barbara Fiorio ha avviato il suo laboratorio di scrittura, “Come lanciare meringhe a un castello” e, con lo stile esuberante, frizzante, empatico che la caratterizza, racconta a Teatro.it del suo approccio a questo lavoro e alla comicità in generale.


Un festival di comicità e Genova. Genova è una città "musona" per eccellenza, eppure da qui sono usciti tanti comici famosi, a livello teatrale, televisivo, cinematografico. Come te lo spieghi? Le due cose ti sembrano in contrasto?
Diciamo che mi sembra curioso, curioso in senso positivo, che a Genova si organizzi finalmente un'iniziativa del genere. Da Genovese, so che i miei concittadini hanno molto humour, ma non lo esprimono con facilità. D'altra parte a Genova nascono tante voci comiche, basti pensare che il Presidente di Palazzo Ducale, Luca Bizzarri, nasce come comico. Questo festival è un'avventura forte e bella promossa dall'Associazione Interno 19, che si mette alla prova con una “puntata zero” di cui sono orgogliosa di fare parte. E' la prova che giovani con spirito d'iniziativa possono arrivare a guadagnare spazi importanti, come Palazzo Ducale, Palazzo Rosso e il Teatro della Tosse, tre delle principali “piazze” artistiche cittadine in cui il Comicity Festival sta prendendo vita.

Comicità è (anche) femmina. Si è molto parlato in questi ultimi tempi di comicità al femminile anche grazie alla serie tv La fantastica signora Maisel. Pensi che ci sia una comicità "maschile" o "femminile" o lo humour ci accomuna trasversalmente ai generi?
Premetto che sono una grandissima fan delle serie tv e trovo che da anni mancasse un prodotto curato come La fantastica signora Maisel. Sia dal punto di vista della scrittura che sul piano recitativo è una serie fantastica e poi è impossibile non affezionarsi alla protagonista. Rispetto ai suoi colleghi uomini, Miriam Maisel sconta una semplice diversità di pregiudizio. Dalle donne ci si aspetta meno ironia, più sensibilità, più... spirito “femminile”. Femminile è definita una categoria di letteratura (ed è tra l'altro una semplificazione rispetto a definizioni inglesi o americane che includono categorie più articolate, come la cosiddetta chick lit).

Ha senso allora parlare di letteratura di genere?
Me lo domando anch’io spesso da scrittrice. Non solo, nelle mie esperienze di lettrice, mi capita di chiedermi: è un caso che ci siano molti più libri di scrittori uomini? Senz'altro no, il percorso di accesso delle donne al mondo della cultura è frutto di un'evoluzione lunghissima e ancora in corso... Ma è importante non perdere di vista questa percezione di diversità e non confonderla con altro. D'altra parte, citando un episodio personale, mi ricordo che, quando avevo otto o nove anni, volevo essere la capobanda dei bambini del mio palazzo, di cui ero la più grande per pochi mesi di età. Un pomeriggio, mentre ero a casa di alcuni amichetti, la mamma di uno di loro mi spiegò che non avrei mai potuto essere la capobanda semplicemente perché ero una femmina. Una donna adulta, con perfetta naturalezza, mi stava spiegando cosa mi sarebbe stato sempre negato per la mia condizione di donna. E' una cosa che mi ha molto colpito allora, un ricordo che non mi ha mai abbandonato. Quindi no, non credo alla sensibilità “maschile” o “femminile”, credo a una forma di intelligenza trasversale ai generi.

Il laboratorio ”Come lanciare meringhe a un castello” che tu hai curato nell'ambito del Comicity Festival, allude all'inutilità di usare l'ironia con certe persone. La modernità, i social, i nuovi strumenti di comunicazione ci hanno reso secondo te più o meno sensibili all'umorismo? Siamo sempre come quel fatidico castello?
Difficile fare un'analisi. Dal mio punto di vista, osservo, però, che tante cose stanno cambiando, soprattutto per noi Italiani. Io ad esempio da tanto tempo porto avanti i miei laboratori di scrittura ironica (che non è strettamente scrittura comica) perché credo che attraverso l'ironia sia possibile raccontare anche grandi dolori. Io credo molto alla “leggerezza”, leggerezza nel senso che Italo Calvino attribuiva al termine, non come povertà di pensiero. Trovo che a volte questo approccio a noi Italiani sia un po' mancato. Prendiamo un esempio quotidiano, poco letterario, le pubblicità. Lo spot del Buondì Motta, che cercava soprattutto una via di espressione di un sarcasmo, ha incontrato un sacco di polemiche, forse anche perché andava a toccare l'italianissimo concetto di “mamma”.

Si può dire lo stesso per il web?
Certo. Pensiamo, ad esempio, alle pubblicità dei Servizi funebri Taffo. Sono diventati virali sui social network grazie a un approccio finalmente “dirompente” e scanzonato al tema della morte, riuscendo a veicolare persino contenuti educativi (un esempio su tutti: “in auto rispetta le distanze di sicurezza, non obbligarci a fare gli straordinari”). Ecco, se c'è qualcosa di buono che ha fatto il web, è stato senz'altro abbattere i confini tra generi, tra comicità, grottesco, ironia, permettendo una maggior commistione e, forse, una migliore diffusione di varietà di contenuti.

E di Vittoria, la protagonista che dà il nome al tuo ultimo romanzo, cosa ci puoi raccontare? Anche lei ha talento comico?
Vittoria è una donna di 46 anni, ha una vita precaria, perde il suo compagno, non ha un lavoro. Dire che è in crisi è un eufemismo. Cosa la salva? Anzitutto, la rete dell'amicizia. Questo è il quinto libro che scrivo e di ognuno, rileggendolo, mi sono accorta che parlava di amicizia, forse perché per me è così importante. E poi, Vittoria ha la sua voglia di ricominciare. Per darsi un mestiere inizia a leggere tarocchi, cosa a cui non crede e non crederà fino alla fine della storia, ma la sua forza, la sua empatia la aiuteranno a dare un supporto veramente utile alle persone che incontra.

Quindi questo libro, a partire dalla comicità, ti ha avvicinato a un mondo “magico”?
La cosa interessante è che io, da profana dei tarocchi, alle fine dell'attività di scrittura, ho dato da leggere il romanzo a una persona esperta di cartomanzia e lei mi ha detto che, involontariamente, avevo creato dei rimandi esatti rispetto alle vicende dei personaggi, alla storia di Vittoria, persino attraverso i tarocchi che, per puro caso, erano stati scelti per la copertina del libro. Ecco, i rimandi e gli incastri che la vita sa creare, sono qualcosa che mi fa sempre sorridere e, in fondo, non finisce mai di stupirmi.